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mercoledì 24 novembre 2010

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Sono forse io il custode di mio fratello ? Il confine sottile tra rispetto e ingerenza

mercoledì 24 novembre 2010
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Sono forse io il custode di mio fratello ?” - disse a suo tempo Caino rispondendo su dove fosse Abele. Sono passati più di cinquemila anni e ancora ci ritroviamo nelle stesse condizioni, con gli stessi problemi e soprattutto senza apparentemente aver fatto molti passi avanti da allora.
Siamo tutti insieme su questa terra per condividerne la bellezza e per arricchire la nostra esistenza di tutte le meraviglie contenute nella creazione. Eppure ci stiamo sempre più allontanando gli uni dagli altri riempiendoci di diffidenze, paure, timori, barricandoci dentro le nostre difese. E’ vero che sono le esperienze negative vissute personalmente o indirettamente ad incidere ed a condizionare i comportamenti ed i caratteri delle persone, però sono sempre di più gli uomini che vivono nella paura e agiscono costantemente in preda al panico, anche se non sempre se rendono conto.
Essi stanno perdendo (ed alcuni hanno già perso) la capacità e la voglia di sognare, vivono col timore costante di dover fare sacrifici o di affrontare il dolore, cercano in tutti modi di allontanare la sofferenza e la vecchiaia, vivono alla ricerca di ciò che li anestetizza e li distrae dal vuoto che li circonda e che li riempie di ansie interiori. Abituati alla comodità e pigri in tutto ciò che è dovere, sfuggono appena possono dalle responsabilità verso le azioni che mettono in atto.
Vittime di queste paura e di queste perdite di speranza, molti uomini, quindi, trovandosi in difficoltà preferiscono staccare la spina, perdendo la forza e l’abitudine a lottare.
Questo è dovuto al fatto che essi si sono assegnati da sé e per sè dei parametri di ciò che è vita e di ciò che non è vita, di ciò che è degno e di ciò che non è degno; dei parametri molto alti e ambiziosi per cui al di sotto di un certo reddito non è il caso di avere figli, al di sotto di un certo livello di riconoscimento sociale vanno in depressione, al di sotto di un certo lavoro vivono insoddisfatti, al di sotto di un certo livello di salute preferiscono darsi la morte chiedendo il suicidio.
Di fronte a queste tristi realtà della vita moderna, però, esistono altri individui che hanno incontrato la bellezza dell’esistenza e ne hanno gustato il sapore e mangiato i frutti.
Sono persone che hanno vissuto e vivono le stesse esperienze e condizioni di quegli altri, ma diversamente da loro hanno imparato ad amare la vita per quella che è senza idealizzare uno standard di come dovrebbe essere, hanno imparato a viverla dando il meglio e raccogliendo con gioia quanto seminato, hanno imparato che la cosa più importante è la condivisione con gli altri, che anche quando le cose vanno male non sono mai soli, che anche quando tutto sembra girare storto c’è sempre una via d’uscita, sono persone che hanno una luce dentro chiamata speranza e hanno il potere di illuminare chi gli sta intorno.
Ma se questi ultimi, per rispettare la volontà e il libero arbitrio dei primi, li lasciassero con indifferenza percorrere il loro cammino verso l’oscurità e verso ciò che è male, sarebbero misericordiosi e generosi come la loro esperienza di gioia gli ha insegnato ? Decisamente no.
Se si lavassero le mani di fronte alle scelte sbagliate o discutibili degli altri essere umani ottenebrati dalle proprie paure, non sarebbero complici di tante disperazioni e morti ?
Qual è la misericordia allora ? Assecondare il peccatore nel suo peccato o cercare di aiutarlo a estirparselo di dosso per poter tornare in libertà ?
Il primo modo di amare gli uomini è dire la verità , diceva Giovanni Paolo II, ed è vero; non possiamo pensare di amare il prossimo se gli teniamo nascosta la Verità che, per grazia, abbiamo incontrato, non possiamo amarlo se gli omettiamo il nostro soccorso qualora egli si trovi in situazioni che necessitano di un aiuto. Non si tratta di ergersi a maestri possessori della Verità assoluta e quindi porsi su un piedistallo da cui padroneggiare, al contrario si tratta di mettersi al servizio della Verità medesima condividendola col prossimo per amore del prossimo stesso.
Da qui sorge la domanda: Siamo o no custodi del nostro prossimo ?
Abbiamo o no il dovere di essere luce nell’oscurità, verità nel dubbio, fede nel timore, speranza nella disperazione, gioia nella tristezza, forza nell’angoscia dei nostri fratelli ?
Certo, può apparire presuntuoso e arrogante questo modo di ragionare e agire, accade spesso che la Chiesa o i cristiani passino per impositori, per gente non rispettosa della libertà di scelta altrui; anzi, gran parte dell’anticlericalismo si basa su questo odio verso quella che viene chiamata “ingerenza della Chiesa” poiché mai e poi mai essa cessa di opporsi a gran voce quando si tratta di difendere valori non negoziabili come la vita o altri valori fondamentali per l’essere umano.
La definizione di ingerenza è: intromissione non richiesta e non gradita in cose che non dovrebbero riguardare”.
Che fare dunque ? Rispettare il volere di chi non vuole intromissioni di alcun tipo ?
Sono davvero cose che non ci dovrebbero riguardare ?
Il cristiano deve essere silenziosamente rispettoso, magari parlando solo quando interpellato, o deve fare affermare con tutte le sue forze che tutto ciò che concerne l’uomo lo riguarda ?
Alla base credo ci debba essere una convinzione: la conoscenza e l’incontro di Cristo Gesù è quanto di più importante esiste nella vita e tutti dovrebbero avere l’opportunità di conoscerlo.
Rivolgendomi a chi è cristiano quindi dico: Se mettiamo in dubbio la Verità la Via e la Vita che abbiamo incontrato in Gesù Cristo, se in nome del rispetto altrui dimentichiamo quanto è fondamentale per la vita di ogni uomo riscoprire l’altezza della propria dignità e la bellezza della propria vita in quanto chiamata alla felicità più profonda, allora forse dovremmo interrogarci su quanto vale per noi l’incontro con il Risorto, su quanto ci ha cambiato la vita, su quanto lo riteniamo vitale per tutti, su quanto è prezioso che venga annunciato in ogni modo a tutti gli uomini, perché possano riprendere il loro cammino verso la dignità per cui sono stati creati.
Ma come si corregge un fratello ? Soprattutto, è giusto permettersi di correggerlo o bisogna rispettare le sue scelte anche qualora ci dovessero sembrare sbagliate o negative per lui ?
Qual è il vero rispetto e come si dimostra realmente ?
Se una persona a mio avviso sta vivendo una situazione nella maniera sbagliata che la porterà a stare male o peggio di come già sta, non è forse mio dovere provare a dirle che forse ci sono altre soluzioni e altre vie per affrontare quella particolare situazione ?
O forse rispettare significa non dire nulla o limitarsi a dire “non condivido ma ti rispetto, fai come credi giusto perché nessuno possiede la verità” ?
Se, ad esempio, una persona che conosco mi confessa che ha preso la decisione di abortire, dovrò tacere ? Dovrò starle vicino dicendole “se ritieni che questa sia la scelta migliore per te io la rispetto” ? Oppure  dovrò piuttosto cercare di aprire un dialogo e aprire nuovi punti di vista e nuovi orizzonti di speranza ? Dovrò insistere ? Come dovrò comportarmi ?
Se una persona soffre di depressione o di una qualche malattia che le procura tanto dolore al punto che decide di farla finita, come dovrò interpretare il rispetto che è giusto dare ?
Siamo in un’epoca in cui il relativismo presenta se stesso come presupposto necessario della democrazia, del rispetto e della convivenza. Dobbiamo quindi relativizzare e relativizzarci anche noi ? Dobbiamo convincerci che tutto è lecito anche se non tutto giova ?
Io credo che il prezzo che si rischierebbe di pagare sarebbe fin troppo alto.
D’altronde, la libertà è un valore altissimo, però non può essere messo più in alto del valore della vita, ci deve essere una gerarchia dei valori, debbono esistere alcuni valori universalmente riconosciuti come inviolabili e intoccabili, altrimenti si rischia una anarchia etica che creerebbe dei mostri e delle mostruosità.
Vorrebbe dire che chiunque potrebbe essere libero di gettarsi da un ponte e se lo vedessimo non potremmo cercare di convincerlo a non farlo, dovremmo rispettare la sua volontà di togliersi la vita. Ma è questa la libertà che dobbiamo rispettare ?
No, questo si chiamerebbe egoismo, indifferenza per il prossimo.
Significherebbe rispondere come Caino: “Sono forse io il custode di mio fratello ?“
Significherebbe dare la spinta definitiva a chi è più debole, più piccolo, più fragile, più povero, più ingenuo, meno abile o scaltro. Alla fine pagherebbero le categorie più deboli che invece sono quelle che avrebbero più bisogno di essere sostenute e aiutate.
No, bisogna intervenire e soccorrere, con misericordia.
Ma qual è la misericordia richiesta a noi cristiani ? Quella che, per evitare di giudicare il peccatore non giudica nemmeno il suo peccato lasciandolo e quindi disinteressandosi di lui ?
No, misericordia significa permettersi di essere invadente per il bene dell’altro, almeno provare ad avvisarlo delle conseguenze pericolose delle sue scelte, fare quanto è possibile fare, dire quanto è possibile dire, amare quanto è possibile amare.
Alla fine, senza ombra di dubbio, ciascuno sarà libero di fare le proprie scelte e di prendere le decisioni che riterrà opportune per la propria vita.
In ogni caso credo che, come cristiani, abbiamo il dovere di annunciare la Verità che abbiamo incontrato in Gesù Cristo. Se omettiamo di proporre quanto ci viene insegnato nel Vangelo e se assecondiamo col silenzio o con l’indifferenza i comportamenti e i messaggi negativi e avversi alla dignità dell’uomo, allora diventiamo complici di coloro che camminano verso il male e la nostra colpa sarà più grande della loro. Come sta scritto:
«O figlio dell’uomo, io ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia.  Se io dico al malvagio: “Malvagio, tu morirai”, e tu non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te. Ma se tu avverti il malvagio della sua condotta perché si converta ed egli non si converte dalla sua condotta, egli morirà per la sua iniquità, ma tu ti sarai salvato». (Ez 33,1.7-9)
In conclusione, non possiamo e non dobbiamo imporre nulla a nessuno, ma dobbiamo farci vicini al prossimo, testimoniare la nostra esperienza, parlare a cuore aperto e con chiarezza, proporre soluzioni diverse e raccontare le meraviglie che si possono vivere anche in circostanze difficili o impensabili; dobbiamo ridare agli uomini visione dei miracoli, quelli veri, e in giro ce ne sono molti. Dobbiamo soprattutto rammentare agli uomini che non sono soli, mai, e che nella condivisione si può affrontare qualsiasi cosa.
Dobbiamo ricordare a tutti che in Cristo Gesù tutto è possibile e non c’è nulla più da temere.

(Aldo Li Volsi)

La Chiesa, se rinunciasse alla Parola, alla responsabilità di dire la verità  vorrebbe dire che più profondamente ha rinunciato, o meglio ha tradito, la sua identità. Questo è un diritto fondamentale, ma è anche la strada per un contributo significativo alla vita sociale.
 (Mons. Luigi Negri)

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